venerdì 29 novembre 2013

La fuitina di Natale


Cari Napoletani,
Sono Babbo Natale, Santa Claus o come preferite chiamarmi. Questa volta la lettera ve la scrivo prima io, giusto per mettere le mani avanti, visto che vi siete rubati anche l'albero di Natale della Galleria Umberto.
Ma che ci volevate fare con un pino di 8 metri? Avete messo su una fabbrica abusiva di Arbre Magique nei quartieri? Oppure avete preso Godzilla e vi serviva un palicco perché gli era rimasto un motorino tra i denti?
E poi come avete fatto a fregarlo? Possibile che nessuno si sia accorto di niente? Spiegatemi se è plausibile che in una delle zone più frequentate di Napoli, per di più di domenica sera, nessuno abbia visto delle persone vagare per il centro storico con un albero di 8 metri a tracolla. Alle volte, mi viene da pensare che quelle dicerie sull'omertà non siano vere, e voi veramente non vi accorgete di quello che vi succede attorno.
In realtà, io temo che abbiate solo molta voglia di sfottere, per cui, prima che si rompano le giarretelle, vediamo di chiarire alcune cose.
Lo so che voi la sera del 24 siete ciucchi di Falanghina e Limoncello e vi aggirate come spettri alticci per le strade, ma io la sera della Vigilia lavoro, e sono stufo di strigliare la renna con l'acqua ragia per cancellare la scritta in azzurro "Forza Napoli!" Sono renne non ciucci. Ma non le vedete le corna?
Poi mi si deprimono. L'anno scorso Rudolph mi è costato un patrimonio in analisi.
Un'altra cosa. E spero per l'ultima volta. Quelle centinaia di giganteschi sacchi che porto sulla slitta sono regali. RE-GA-LI. Non sono eco-balle! Quindi smettetela di tempestarmi di sanpietrini quando attero nel vostro paese. Non voglio metterci nessuna discarica. Giuro. Non li vedete i film americani natalizi? Io sono il ciccione vestito di rosso, vi sembra che assomigli a Gigino?
Per fortuna che la slitta non ha le ruote e non devo preoccuparmi che me le possiate fregare lasciandomi a piedi al casello di Caserta.
Quasi dimenticavo. Grazie per il pensiero dei biscotti sul tavolo. Ma io ho 1600 anni, secondo voi ce li ho i denti per masticare quei dannati Roccocò? 'O struffolo ancora ancora, ma almeno non lasciatemelo sereticcio, sennò si azzecca alla dentiera e buonanotte.

Beh, allora a presto e Buon Natale (si spera)
Santa

P.S. : Se anche quest'anno me ne combinate una delle vostre vi garantisco che esaudisco il regalo del vecchio di Fukushima, "Non ce l'avresti un posto tranquillo, dove la gente si fa i fatti suoi, per stoccarci tutte le scorie?" 

giovedì 7 novembre 2013

Nome e contranome


Il nome è un marchio, è ciò che contraddistingue un individuo, la sua persona, a volte la stirpe di appartenenza e perfino il suo status civile e sociale. Se vogliamo, quindi, il nome è un marchio che viene imposto dal contesto familiare al nascituro e ne condiziona inevitabilmente l’essere, ma non è detto che lo rispecchi. Chi non ama o non accetta il suo nome, se ne sceglie un altro, il “nome d’arte”, che a volte è un semplice diminutivo od un nome affine che sostituisca nel 90% dei casi la “Zopponta”, ossia il nome del nonno o della nonna che viene imposto in ossequio ad una forma di rispetto tanto desueta quanto fondamentalmente incomprensibile. Ecco allora spuntare dei melodiosi Assia o Sissy in sostituzione del meno musicale Assunta, oppure degli impropri Lello in luogo di Catello e degli azzardati Melania in luogo di Carmela. Ma nemmeno i nomi autoimposti alla fine rispecchiano per bene chi li porta. A Napoli, si sa, piace dire le cose in modo papale, perciò ognuno o quasi porta con sé un altro nome, che è quello che la gente impone ed è l’unico che rispecchia la verità, ossia ‘o contranome. Riferito alla professione, ad un difetto di pronuncia o ad un tic particolare, il contranome è meglio della carta d’identità per il cittadino, il vero ed unico nome che il popolo riconosce e, a suo modo, la nuda verità su chi lo porta. Il contranome è una vera e propria opera d’arte, una summa di poesia, una raro e limpido esempio di pregnanza ficcante e sagace, che va diretta al dunque e rende unico ed inconfondibile chi lo porta.

Il contranome per eccellenza nasce da osservazioni acute e pungenti sulle caratteristiche fisiche della persona, ma non si ferma alla banalità obesa di un “‘o chiattone”, lo trasforma con una pennellata in “‘a muntagna”, lo trasfigura in un “‘o bufalo” o lo immortala in un definitivo “panza ‘e vacca”. E di lui, ne vogliamo parlare? Lui ha una cicatrice abbastanza vistosa in fronte, ricordo giovanile di una bottigliata ricevuta durante un derby disputato col palazzo di fronte a Piazza del Plebiscito, ma chi lo conosce non si accontenta del troppo telefonato “‘o sfregiato”, arrivando a coniare “‘o ‘ntaccato”e perfino “‘a zip”, con un fenomenale riferimento ad una chiusura lampo in zona temporale.

A volte il contranome assume una valenza proto-futurista e tenta di fermare il tempo e lo spazio in una sola espressione, dipingendo in essa come in un quadro le sembianze del malcapitato. Pensate allora ad un uomo dalla camminata claudicante, e lo riconoscerete in un mirabile “punto e virgola”, ad un individuo noto per il suo vestiario bohémienne, eternato in un esplicito “pezzacculo”, ad un giovane dal labbro possente, dipinto con il diretto “musso ‘e puorco” e ad un anziano dalle orecchie prominenti, fotografato in un fantasioso “recchia a provola”.

Infinite sono le immagini utilizzate per dileggiare chi non brilla per intuito o sagacia. Ecco allora proliferare i vari “Piscione”, “Baccalà” e “Bacchettone”, fino a spingersi a sottilissime metafore quali “Bullone” per indicare uno svitato e “Balcone”, per catalogare uno che non c’è tanto in tema di materia grigia, senza contare i “Pisciaturo” e “Pesce in burro” , il cui uso può divenire multiforme. 

Passando al sesso femminile, di solito si tende a sottolineare la poca piacenza di una donna con dei “Brigibbardò” e dei “Liztailòr”, mentre non mancano riferimenti al proprio stato civile, che spesso si riferiscono ad avvenimenti ormai lontanissimi nel tempo. Ecco allora spuntare i vari “Sposi” e “Spose”, anche a 35 anni dal matrimonio, mentre non di rado diventa “Dottore” o “Poeta” chiunque ostenti un minimo di istruzione

Arrendetevi dunque, potrete cercare di imporre il vostro nome reale o d’arte a chiunque, ma nessuno potrà salvarvi dal nome che vi cuciranno addosso gli altri. Attenzione, però: se dovessero chiamarvi “Pascià” o “Raubbova”, non gasatevi troppo: non scordate che siamo a Napoli, verosimilmente vi staranno prendendo per il deretano…..